L’Anima della Terra: un viaggio profondo nell’arte aborigena australiana

Sommario Articolo
- Un viaggio nell’arte aborigena: spiritualità, simboli e memoria della Terra australiana
- Le radici profonde dell’arte aborigena
- Tipologie di pittura aborigena: un linguaggio visivo millenario
- Pennelli e utensili: gli strumenti dell’espressione
- I colori della terra: pigmenti naturali e il loro significato
- Conclusione: un patrimonio vibrante e vivo
Un viaggio nell’arte aborigena: spiritualità, simboli e memoria della Terra australiana
L’Australia è una Terra dotata di un legame con sé stessa che va al di fuori degli schemi consueti a cui la civiltà europea è abituata: essa vive in una profonda spiritualità e un rapporto intimo e profondo con la madre terra. La sua storia non la troviamo scritta sulle pergamene, né è trasmessa attraverso i consueti documenti archivistici, né la troviamo affrescata o incisa su monumenti di pietra come nella prassi e costume occidentale.
La sua storia è raccontata e trasmessa attraverso le pietre, dipinta sulle sue rocce millenarie, è intagliata nel legno, segnata sulle cortecce degli alberi e rappresentata in maniera viva attraverso le cerimonie, in cui anche l’arte è protagonista, che vibrano e pulsano con il vigore della forza che, da migliaia di anni, ancora sopravvive. La pittura aborigena è un’espressione di questa antica terra, è il suo cuore pulsante, è una delle tradizioni identitarie più antiche del mondo.
Non parliamo di semplici espressioni estetiche, ma di segni che sanno comunicare la profonda spiritualità di questa terra, espressioni viventi di un sapere ancestrale che testimonia il profondo e indissolubile legame tra l’uomo e la sua terra. In quanto forma d’arte essa si veste di eternità ed è capace di trasmettere, di generazione in generazione, la storia e le leggi di cui è custode fedele e messaggera.
Le radici profonde dell’arte aborigena
L’arte aborigena, così come tutte le espressioni culturali dell’Australia, per essere compresa ed assimilata fino in fondo, deve essere necessariamente collocata nelle più ampia cornice legata al Dreamtime , il “Tempo del Sogno”, o Tjukurrpa, come lo definiscono i popoli del deserto occidentale. Non si tratta di una storia e di un tempo passato, né di un sogno o di un’era mitologica ma di una dimensione senza fine, in cui tempo e spazio si fondono e proseguono fino ai giorni nostri.
Si tratta di un complesso sistema di credenze, un continuo stato dell’essere secondo cui in un tempo assai remoto, Esseri Ancestrali hanno creato il mondo, la flora, la fauna e persino le formazioni geologiche. Ciascun elemento del creato, ogni fiume, collina e specie animale ha una propria storia nel Dreamtime, dove coesistono leggi, filosofia di vita e legge morale, che permeano ogni aspetto della cultura aborigena e attraverso l’arte possono essere narrate, insegnate e preservate.
In questa realtà viva e dinamica, l’arte, è lo strumento attraverso cui gli aborigeni riattivano e si connettono con l’epoca sacra e primordiale, con queste energie ancestrali e trasmettono conoscenze, rituali e leggi sulle quali è rigorosamente incentrato il segreto della loro sopravvivenza e della loro coesione sociale che li rende un popolo così affascinante ed unico. Non un semplice concetto di arte per l’arte, ma un profondo, complesso strumento di comunicazione dotato di una rigorosa funzione didattica, territoriale, spirituale e cerimoniale.
Considerata la vastità del territorio e la molteplicità di gruppi linguistici aborigeni conosciuti e censiti, è inevitabile trovarsi di fronte ad una vasta e diversificata gamma di stili artistici che riflettono la altrettanto diversificata cultura aborigena.
Ma quello che rende ancora più affascinante l’arte aborigena è la sua straordinaria profondità temporale che ne fa risalire le origini a decine di migliaia di anni: le pitture e incisioni rupestri più antiche, sono state datate con l’ausilio di sofisticate metodologie scientifiche, a oltre 60.000 anni orsono, rendendo così queste straordinarie forme d’arte non soltanto una millenaria espressione creativa ininterrotta, ma anche un fenomeno culturale dal valore inestimabile.
Le prime testimonianze significative sono state rinvenute nella regione del Kimberly e nel Parco Nazionale del Kakadu e rappresentano le più antiche, durevoli e persistenti manifestazioni artistiche dell’umanità, testimoniando e rafforzando il concetto importante della continuità culturale con il relativo trasferimento di conoscenze e tecniche nel tempo, rafforzando il legame tra i pittori contemporanei ed i loro antenati, così che ogni opera, dalle più antiche alle più recenti, rappresenti un frammento vivente di questa affascinante, incredibile storia millenaria.
L’intero territorio si trasforma in un museo a cielo aperto, in una fornita biblioteca in cui poter apprendere di insediamenti umani, arrivi di nuove specie, eventi climatici, pratiche i caccia, rituali e cerimonie sacre, figure mitologiche; insomma, una finestra sulla storia ancestrale che si narra attraverso le immagini millenarie tatuate sulle pietre.
Tipologie di pittura aborigena: un linguaggio visivo millenario
Una terra così diversificata e poliedrica non poteva non restituire svariate manifestazioni e forme espressive attraverso l’arte e, nello specifico attraverso la pittura, ciascuna resa unica e particolare per supporti, peculiarità tecniche, simbolismi e rappresentazioni.
L’espressione più alta della pittura, considerata la madre delle arti visive aborigena, è data dalle pitture rupestri. Si tratta di espressioni artistiche, pitture o incisioni, realizzate su pareti e su strapiombi rocciosi o all’interno di grotte, in luoghi sacri inaccessibili ai non iniziati, le cui raffigurazioni spaziano dalle scene di caccia agli animali come i canguri o i pesci, dalle figure antropomorfe alle scene cerimoniali e rappresentano dei veri e propri archivi visivi capaci di documentare decine di migliaia di anni di storia, spiritualità, ecologia e vita quotidiana.
Di particolare e straordinario interesse sono le cosiddette pitture a raggi X, definita X-ray art, stile pittorico rappresentativo della pittura aborigena prevalentemente rinvenuto nella regione dell’Arnhem Land nel Territorio del Nord, nel Top End.
La particolarità e l’unicità di questa forma espressiva risiede nella capacità di rappresentare non solo la forma esterna di una figura, solitamente animali e, più raramente, esseri umani, ma anche i suoi organi interni, la spina dorsale, il cuore, i polmoni, le ossa, le uova e i feti e altri dettagli anatomici: attraverso queste forme espressivi si va oltre l’immagine per arrivare a rappresentare l’essenza vitale della creatura, il suo potere vitale e spirituale.
Questa capacità di rappresentare la trasparenza sulle superfici rocciose, ma anche sulle cortecce, si traduce in una eccellente stilizzazione, in una straordinaria precisione dei dettagli e in una profonda conoscenza dell’anatomia umana ed animale, che attraverso i pigmenti rende queste scene estremamente affascinanti ed uniche.
Un’altra forma d’arte rappresentativa, considerata una delle forme d’arte aborigena più antiche e distintiva è la pittura su corteccia, universalmente conosciuta come Bark Painting, molto diffusa nella regione dell’Arnhem Land nel Territorio del Nord dell’Australia. Essa si caratterizza per il particolare ed insolito supporto: la corteccia interna di eucalipto o altri alberi.
Questa, dopo essere stata opportunamente trattata per essere essiccata e per assumere una forma piana, si trasforma in una tela pronta ad ospitare storie millenarie del Dreamtime, spiritualità profonda, genealogie, intima connessione con la terra o interessanti mappe di luoghi sacri, scene di insegnamenti morali. Spesso vi sono rappresentate figure geometriche a reticolato incrociato, stile denominato cross-hatching, realizzato per mezzo di linee sottili che si incrociano creando effetti di brillantezza.
Su questi supporti troviamo, tra le figure più ricorrenti, anche rappresentazioni di X-ray art o soggetti comuni quali pesci, tartarughe, serpenti arcobaleno, uccelli, canguri, wallaby e figure umane o spiriti.
La corteccia viene solitamente raccolta durante la stagione delle piogge, da dicembre a febbraio, nel periodo dell’anno in cui scorre abbondante linfa e la corteccia si stacca più facilmente dall’albero, senza recargli danno. Si operano tre incisioni: due circolari che individuano la sezione di corteccia che si intende rimuovere, poi una verticale che individua il punto dal quale essa viene delicatamente staccata. Una volta estratta, questa deve essere trattata velocemente per evitare una essiccazione incontrollata che potrebbe procurare arricci o addirittura farla spezzare.
Viene prima di tutto scaldata e poi pressata tra pietre fino a quando non assume la forma piatta e rigida desiderata, proprio come una tavolozza su cui elaborare l’opera d’arte. Non è insolito che i bordi vengano legati con fibre vegetali per conservare la forma piana. A questo punto si può utilizzare per le rappresentazioni desiderate, spesso a carattere didattico o cerimoniale ma sempre e comunque intrise da un profondo spiritualismo che, ancora oggi, le rende apprezzate per la loro bellezza e profondità culturale.
La pittura su corteccia per la sua unicità e straordinaria bellezza, è riconosciuta a livello mondiale come una forma d’arte raffinata e profonda, spesso esposta nei più prestigiosi musei. Per gli aborigeni, resta per sempre, da millenni ormai, un canale vitale per mantenere viva la loro cultura, per connettersi con gli antenati e per perpetuare le storie che danno significato alla loro esistenza.
Un’altra forma estremamente interessante e affascinante di pittura aborigena è la pittura a puntini, la Dot Painting o Dot Art, sviluppata particolarmente nelle regioni desertiche, in particolare presso le comunità del Deserto Occidentale, intimamente radicata nella cultura e spiritualità degli Aborigeni in età moderna. Essa ha avuto origine negli anni ‘70 circa con il movimento artistico di Papunya Tula, l’organizzazione cooperativa di artisti aborigeni che ha saputo rilanciare l’arte aborigena australiana a livello internazionale al punto da essere considerata non soltanto espressione etnografica ma insieme di opere di grande prestigio per armonica bellezza, cromia e profondo significato culturale e spirituale.
Nel 1971 l’insegnante Geoffrey Bardon nel Papunya, pensò di affidare ad un gruppo di anziani uomini aborigeni l’impegno di arricchire le pareti della scuola presso cui insegnava di murales che rappresentassero le loro storie e conoscenze ancestrali del Dramtime: i temi erano gli stessi, ma cambiava il supporto. Non più pietre, rocce e cortecce ma tele e pannelli moderni su cui posare vernici acriliche.
Attraverso le loro mani venne fuori una nuova tecnica, la pittura a puntini, la Dot Art, che usava miriadi di puntini per rappresentare composizioni estremamente complesse: gli elementi del paesaggio, le scene di cerimonie tradizionali, le narrazioni complesse del Dreamtime assumono quasi sembianze astratte e questa scelta stilistica, in realtà, nasconde un significato molto più profondo: il puntinato intende celare i significati più sacri e segreti delle opere, rendendoli leggibili e comprensibili solo agli iniziati.
Le informazioni sacre venivano così secretate al punto che i temi dei viaggi ancestrali, siti sacri e cerimonie, che rappresentavano mappe visive e depositi della memoria culturale, potessero diventare patrimonio culturale aperto al mercato occidentale ma, allo stesso tempo, capace di conservare intimamente la sua sacralità, i suoi dettagli esoterici e le sue connessioni profonde, celate dall’arte e riservate esclusivamente agli occhi degli iniziati, coloro che conoscevano i principi del Dreamtime ed erano in grado di decifrarli.
Ogni puntino è una pennellata precisa che vuole raccontare qualcosa e ogni pennellata rappresenta un codice così che l’opera tutta assume i caratteri di un affascinante, meraviglioso, a tratti estasiante, testo narrativo. Queste opere hanno riscosso un tale successo da consentire la formale istituzione della cooperativa Papunya Tula Artists Pty Ltd nel 1972, di proprietà e gestione aborigena, assicurando così agli artisti il controllo e la conservazione della loro arte così da poter godere anche dei benefici economici da essa derivati.
La differenza fondamentale con il Puntinismo europeo sta nel concetto che mentre quest’ultimo gioca sulla miscelazione ottica dei colori per raggiungere un risultato meramente estetico, la Dot Art Aborigena all’armocromia aggiunge una finalità narrativa e rituale.
Originariamente questi disegni venivano realizzati su sabbia e terreni o sul corpo, in occasione di cerimonie sacre nel corso delle quali poter tramandare i già noti temi legati a mappe di percorsi tradizionali, storie ancestrali, esistenza di fonti d’acqua e informazioni cruciali per la sopravvivenza nel deserto: insomma forme d’arte effimere, create per le cerimonie e distrutte al loro termine, testimoniando così, una volta in più la transitorietà delle forme ma non dei contenuti.
Gli aborigeni erano soliti eseguire anche pitture su oggetti rituali come scudi, lance e i sacri churinga, oggetti di potere ancestrale, identità spirituale e memoria culturale, dalla profonda importanza religiosa e sacra. Questi oggetti solitamente sono realizzati con legno duro, spesso acacia Mulga o pietra lucida come arenaria o quarzo, sono spesso di forma ovale o allungata e appiattita e arricchiti con incisioni complesse e decori che rappresentano disegni legati al Dreamtime.
Pennelli e utensili: gli strumenti dell’espressione
L’arte aborigena afferma il principio di connessione profonda con la terra anche attraverso gli strumenti che utilizza, manifestando così il legame intimo con la natura ed i prodotti che essa offre, impiegati sempre con straordinaria ingegnosità e profondo rispetto.
I primi e più antichi strumenti utilizzati sono le dita e le mani stesse dell’artista che si animano e si muovono per creare interessanti espressioni artistiche con le impronte della mano o con le strisce realizzate con le dita. A mano a mano che si avvertiva l’esigenza di realizzare linee più sottili oppure dettagli più complessi, gli artisti aborigeni si sono ingegnati cercando elementi regalati dalla natura per realizzare pennelli naturali di varie tipologie.
Ecco che bastoncini e rametti sono da sempre utilizzati per disegnare, spesso trasformati in veri e propri pennelli con setole più o meno morbide ed assorbenti, ottenute dallo sfilacciamento dei rametti spesso generato dalla masticazione.
Pennelli di precisione sono stati realizzati anche con i capelli umani o fibre vegetali assemblate e legate a seconda dello spessore desiderato. Per ottenere stesure più ampie ci si serviva, come se fossero le moderne spatole, di erbe e foglie, spesso masticate per creare effetti particolari. Un altro strumento usato e capace di rendere effetti interessanti è dato dalle piume, dotate di grande leggerezza e capacità di assorbimento tali da consentire applicazioni di dettaglio particolarmente delicate o anche per specifici rituali.
Per realizzare le straordinarie pitture a puntini, gli artisti erano soliti usare bastoncini di legno smussati, realizzati spesso anche con le canne, o fili d’erba spinifex, estremamente resistenti, rigidi ed appuntiti. L’effetto puntinato era ottenuto intingendo i supporti nel colore e picchiettando in maniera costante sulla superficie, fino ad ottenere l’effetto desiderato dall’artista.
Di fondamentale importanza gli utensili necessari per la preparazione dei materiali e dei colori: per triturare i pigmenti minerali ed ottenere le polveri sottili da cui realizzare i colori, occorrevano, ad esempio, pietre piatte e macine. I colori ottenuti venivano poi conservati in specifici contenitori o poggiati all’occorrenza su tavolozze sempre ricavati da gusci di molluschi, pezzi di corteccia concava o ciotole naturali. Per raschiare, grattare, preparare e levigare le superfici, come le cortecce, gli artisti aborigeni erano soliti usare pietre taglienti o addirittura ossa, come se fossero i moderni raschietti.
Con l’aiuto della madre natura, che offre strumenti e prodotti che si prestano ad ogni più impensata soluzione, gli artisti aborigeni sono riusciti a creare strumenti tali da diventare, magicamente, una prolunga delle loro mani e delle loro menti così da realizzare opere intense e spiritualmente pervase dalla conoscenza della natura, dalle connessioni ancestrali e dallo spirito dei luoghi.
I colori della terra: pigmenti naturali e il loro significato
Le opere d’arte aborigena, così essenzialmente espressione della natura nei contenuti e nei supporti, prendono forma per mezzo di una tavolozza di colori realizzata con pigmenti naturali regalati dall’ambiente ed estratti dalla terra con grande consapevolezza e rispetto, al punto tale da conferire loro un intimo significato geografico prima e culturale e spirituale dopo. Oltre il valore estetico, i colori si caricano di potenti significati simbolici ed esprimono essi stessi una grande capacità narrativa delle tradizioni spirituali, delle credenze del Dreamtime e delle risorse del paesaggio australiano, dal quale essi stessi vengono magistralmente estratti.
I colori principali derivano da terre e minerali: proviamo a conoscerli.
Il colore bianco si ricava principalmente dal caolino, argilla bianca o gesso ed il suo significato è legato agli spiriti degli antenati, alle nuvole, all’acqua, alle ossa sbiancate e talvolta al cielo notturno. Gode di un senso di purezza e dunque può rappresentare anche la creazione o la rinascita, è spesso usato per delineare forme e figure e, con la sua lucentezza, è un colore essenziale in molte cerimonie.
I colori rosso e ocra sono molto usati nella gamma che va dal rosso brillante al marrone ruggine e sono ricavati da minerali ferrosi come l’ematite e la laterite, terra rossa ricca di ossido di ferro. Il colore può variare notevolmente in base al sito di estrazione ed al grado di tostatura che incide prevalentemente sulla tonalità dei rossi. Il significato del rosso è potentissimo ed è legato al sangue, alla terra, al fuoco, all’energia vitale, alla sessualità. Questi colori rappresentano la terra stessa e molti racconti del Dreamtime i cui protagonisti sono i corpi degli antenati e i siti sacri.
I colori giallo e ocra gialla, spaziano dal giallo pallido all’ocra dorata e sono ricavati da rocce di limonite e goethite, una terra gialla ricca di ossido di ferro. Simboleggiano ed evocano il sole, il calore, la sabbia e i fiori del deserto, il fuoco e, spesso, la vitalità della terra e l’energia luminosa, le risorse e la fertilità del paesaggio.
Il colore nero si ottiene dal carbone vegetale derivato dalla legna o dal biossido di manganese o ossido di ferro nero. Il suo significato simbolico è associato all’oscurità, alle ombre, al cielo notturno, alle grotte, al sottosuolo, alla pioggia o ai temporali e, spesso, assume anche significati legati alla morte o agli spiriti maligni. Il nero è il colore utilizzato solitamente per definire contorni e creare contrasti necessari a delineare e rendere più leggibili le figure.
È da chiarire che i colori non godono di una codifica rigida e rappresentativa in senso univoco dell’arte aborigena: essi possono assumere sfumature di significato diverso a seconda della regione o del gruppo linguistico che li adopera, ciascuno caratterizzato da una specifica, intima storia del Dreamtime, che va oltre la mera rappresentazione per assumere connotazioni intrise di significati profondi e identitari, carichi di simbolismo.
Un puntino rosso tracciato su una roccia, una corteccia o una moderna tela, potrebbe rappresentare una bacca, una goccia di sangue, un fuoco sacro o un luogo specifico del Dreamtime, a seconda del contesto, del popolo e della narrazione a cui è legato.
I pigmenti estratti, per poter essere posati sui supporti, vengono prima ridotti in polvere e poi mescolati con leganti naturali quali acqua, saliva o resine estratte sempre dalle piante tipo la savia di orchidee, essudato zuccherino che alcune orchidee producono sulle foglie o sugli steli e che può avere un efficace potere da collante. Spesso, per conferire maggiore aderenza e lucentezza alle pitture, si usava persino sangue animale o grasso di emu.
L’estrazione di questi pigmenti è una operazione complessa e presuppone una profonda e sostanziale conoscenza del territorio e delle sue ricchezze e i popoli aborigeni spesso accompagnano queste operazioni con specifici rituali nel rispetto della natura e della terra, madre che sempre dona i suoi beni.
Negli anni ’70 abbiamo assistito all’evoluzione legata all’introduzione dei materiali moderni, tele e pitture acriliche, così che la gamma dei colori per gli artisti aborigeni è diventata molto più ampia e brillante, con l’introduzione di colori come i blu, i verdi, i viola e altri colori. Nonostante ciò, molti artisti aborigeni hanno scelto di restare fedeli alla tavolozza regalata dai colori naturali della terra e nonostante le nuove tonalità, nulla è cambiato rispetto al simbolismo ed alla connessione culturale che vuole raccontare, attraverso le immagini e le cromie, le storie del Dreamtime.
Tutta la pittura aborigena si traduce in una intima interconnessione tra pigmenti, luoghi di origine e profondi significati spirituali di cui sono pervasi già all’atto della creazione così che, attraverso la mano animata dalla mente e dall’anima dell’artista, l’atto stesso del dipingere assume l’aura di una esperienza sacra.
Conclusione: un patrimonio vibrante e vivo
Un viaggio nell’arte aborigena rappresenta uno stimolo ad andare oltre il concetto di galleria d’arte, di museo e di collezione di immagini e pitture: essa proietta l’osservatore in una dimensione animata di identità e cultura, di spirito e spiritualità. L’arte aborigena, dalla sua millenaria nascita fino ai giorni nostri, conserva un principio essenziale che contraddistingue questo meraviglioso e autentico popolo: la memoria del Dreamtime, la natura e lo spirito dei luoghi, qui, sono entità vive, leggi universali di spirito e anima che attraverso i millenni ha narrato e continua a narrare storie di creazione e di connessione profonda con la madre terra.
Nonostante il dolore, i cambiamenti e le sfide del tempo, questo popolo continua ad affermare la propria solida identità anche attraverso le forme espressive dell’arte che, dalle antiche pitture rupestri, alle suggestive cortecce, alle tele moderne, attraverso le mani, le pennellate, i puntini, con i loro colori vivi e naturali, sanno rappresentare un solido ponte tra il passato ancestrale ed il presente complicato, mostrando il radicato legame tra l’artista, che è poi l’uomo, la sua arte e la Terra.
Ancora oggi possiamo apprezzare l’arte aborigena e la sua capacità di trasmettere la saggezza e la resilienza di chi, con grande forza interiore, ha saputo rimbalzare nella storia, superando dolorose avversità per affermare la propria identità e continuare a diffonderla oltre il tempo e lo spazio.
L’arte diventa così un canto libero della Terra, una danza su note colorate che continuano a risuonare con un eco potente, con un invito ad onorare e rispettare questo straordinario, antico popolo nella sua meravigliosa, antica Terra.
Per vivere questa esperienza ed ammirare queste rare, suggestive bellezze è di fondamentale importanza, non soltanto acquisire tutte le informazioni possibili sulla vacanza in Australia, sul clima, sulle condizioni ambientali e tutto quanto può renderlo più comodo e semplice e piacevole, ma bisogna, prima di ogni cosa, procurarsi il visto obbligatorio, come eVisitor Australia, o altra autorizzazione a seconda del Paese di provenienza.
L’eVisitor è un’autorizzazione elettronica, collegata al proprio passaporto, che consente ai cittadini di determinati Paesi di entrare e visitare l’Australia per brevi periodi, per scopi turistici o anche attività legate agli affari, quali convegni, colloqui, contratti, ma non per lavorare. E’ assolutamente la prima, indispensabile operazione per immergersi e lasciarsi incantare dalla straordinaria terra australiana, dalla sua cultura, dalla sua arte, dalla sua magia.